Quattro chiacchiere al bar
(prima parte)

Editoriale del Trieste Photo News di Settembre / Ottobre 2014

È mattina. Fa caldo e l’aria è leggermente afosa.
Il lungomare accoglie i primi bagnanti che stendono i loro teli colorati sul bagnasciuga. L’odore di salsedine è pungente. L’azzurro intenso del cielo e il blu cristallino del mare sembrano evocare memorie perdute.
Gli unici rumori sono quelli prodotti dal frangersi delle onde sulla battigia.

«Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare.»
Scandisce lentamente queste parole e, nel farlo, sembra quasi rammaricarsi d’averle pronunciate. «Non è farina del mio sacco. Magari lo fosse! Si tratta di una massima dello scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges.»
È così che inizia la mia chiacchierata con Giuliano de Sylvula.
L’uno di fianco all’altro, comodamente seduti al tavolo di un bar, assaporiamo l’intenso aroma di un buon caffè e osserviamo distrattamente alcuni cani intenti a rincorrersi sulla spiaggia.

Fulvio: «Jorge Luis Borges… Ricordo alcuni suoi ritratti realizzati da Ferdinando Scianna a Bagheria, a Villa Palagonia, la famosa “villa dei mostri”. Credo fossero gli anni Ottanta. Sono passati più di tre decenni d’allora. Lo scorrere del tempo è davvero inarrestabile, in un certo senso addirittura impietoso! E la fotografia ci offre l’illusione di poter fermare il suo flusso, di bloccare la sua fuga. Una chimera iniziata nel 1839, centosettantacinque anni fa’, e che oggi sta vivendo una trasformazione radicale, una sorta di metamorfosi che mi induce a porti una prima domanda un po’ scontata ma tuttavia semplice: Dove sta andando la fotografia?»

Giuliano: «All’anima della domanda semplice!
Per rispondere non sono sufficienti competenze fotografiche. Servirebbero doti divinatorie o profetiche, qualità che di certo io non possiedo. Una cosa tuttavia è assodata: oggi la fotografia è ovunque ed è alla portata di tutti. L’avvento delle nuove tecnologie ha delineato uno scenario del tutto nuovo, uno scenario che è ancora in continua evoluzione.
Un numero sempre più massiccio di persone ha imparato a cimentarsi con i tanti dispositivi che oggi sono in grado di memorizzare immagini, dalle fotocamere digitali, reflex o compatte che siano, alle Mirrorless e alle Lytro Illum, dagli iPhone o smartphone agli iPad o ai tablet. Sembra paradossale ma oggigiorno chiunque possieda uno smartphone può scoprire la fotografia tra una conversazione telefonica e l’invio di un sms. Per non parlare dei programmi di fotoritocco, come Photoshop, oppure delle tante applicazioni per dispositivi mobili, come Instagram o come Hipstamatic. E giustamente le nuove generazioni hanno saputo cogliere al volo i vantaggi e le tante opportunità offerte dalla rivoluzione digitale. È del tutto evidente che i “nativi digitali” si trovano perfettamente a loro agio in un mondo tecnologico dalle caratteristiche sempre più avanzate.

Si potrebbe eccepire che spesso i più giovani sanno a mala pena cosa sia una pellicola ma, onestamente, non è che io possa affermare di conoscere il processo delle lastre al collodio umido in auge negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta dell’Ottocento. E d’altra parte è del tutto inutile farsi prendere dalla nostalgia per un passato analogico sempre più obsoleto. La presentazione della prima macchina digitale, la Sony Mavica, risale al 1981. Come supporto di memorizzazione utilizzava una sorta di floppy disk! Sembra roba da museo di archeologia digitale. Eppure sono passati appena trent’anni. In ogni caso, dal mio punto di vista, la vera rivoluzione dell’ecosistema visivo non è tanto quella dell’innovazione dei congegni tecnologici, quanto quella rappresentata dalla condivisione Web delle immagini.

Oggigiorno i social network dedicati alla passione per la fotografia sono numerosi. Basti pensare a Flickr, a Instagram, a Pixoto, a 500px, a DeviantArt, a Polaroiders. Ma anche a Facebook e a Twitter. E sono sufficienti le statistiche relative a Facebook per avere un’idea del fenomeno: ogni giorno sul social media fondato da Mark Zuckerberg, vengono caricati 380 milioni di fotografie, per un totale di oltre 200 miliardi di immagini già inserite e un trilione di connessioni. Un flusso ininterrotto, nel quale, molto spesso, l’autore non effettua alcuna selezione preventiva, tralasciando riflessioni e consapevolezze, con il risultato che la stragrande maggioranza delle fotografie circolanti finisce col vivere un’esistenza brevissima, per poi terminare nel macero informatico o, a essere più edulcorati, nell’oblio più totale.Va però detto che tutto ciò ha ben poco a che vedere con il “fare fotografia” inteso nel senso tradizionale della locuzione. Si tratta di fotografia compulsiva, spesso preterintenzionale, che intende essere funzionale solo alla comunicazione istantanea. Nondimeno, quello della condivisione delle immagini sui social network rappresenta un’importante trasformazione del “fotografico”, di cui non si può non tenere conto.
Ma la questione, in fondo, non è questa.
La questione è che il digitale, e di conseguenza tutto l’impianto tecnologico che ci gira attorno, deve sempre essere considerato per quello che realmente è: un mezzo al servizio dell’espressione.»

FULVIO MERLAK

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