Non siamo figli di Cartier Bresson

Editoriale del Trieste Photo News di Settembre / Ottobre 2013

Fotografia: come ben sappiamo il suo  significato è letteralmente “scrittura con la luce”  (composizione delle parole greche phôs – luce e  graphè – grafia); e con il termine Fotografia si va  a indicare sia la tecnica o il processo, quanto  l’immagine realizzata e, per sua estensione, il  supporto che la contiene.

Non viene fatta altresì una distinzione, in termini  puramente lessici, tra una Fotografia realizzata  per mezzo di emulsione chimica e quella  ottenuta per mezzo di un sensore digitale.
La  Fotografia, dopo quasi due secoli di vita, ancora  non fa alcuna distinzione etica tra analogico e  digitale, tra reflex, mirrorless o smartphone.
Ma la Fotografia definisce semplicemente il  concetto di base (scrivere con la luce) e non si  preoccupa di come questo avvenga e, sopra  ogni cosa, non si preoccupa affatto di “cosa  viene fotografato e come”. Questo compito  viene relegato al Fotografo che ha la piena  responsabilità dell’immagine realizzata.

Quanto definito sopra ha il solo compito di  esporre una delle diatribe oggi molto in voga:  l’utilizzo spasmodico delle nuove tecnologie in  campo fotografico; per farla breve: tutto quello  che viene realizzato per mezzo di smartphone.  Firme molto autorevoli nel gota della Fotografia  in Italia danno sfogo alle loro capacità analitiche  e di competenze circa l’etica nell’utilizzo dei  photofonini nel proporre contenuti anche in  termini giornalistici alle redazioni dei (pochi)  giornali ormai interessati alle pubblicazioni,  additando che “mai e mai è da considerare etico  una immagine realizzata per mezzo di automatismi  digitali e software in grado di alterare senza  controllo colore e atmosfera” (cit.)

Personalmente ritengo che questa sia una  visione quantomeno semplicistica del problema  – se di problema si tratta. Sarebbe come dire  che, per poter esser presa in considerazione  (da chi poi?) una Fotografia debba per forza  essere realizzata attraverso mezzi idonei  all’etica della Fotografia stessa senza però  definire quali siano questi mezzi. Ogni persona  di buon senso, credo, avrebbe non poche  difficoltà nel creare questo tipo di distinzione.  Forse una risposta, seppur non conclusiva, ci  viene data dal colosso per credibilità nel  panorama della Fotografia mondiale: il 1 giugno  scorso, la Magnum Photos – Agenzia delle  Agenzie -, ha ufficializzato la nomina di un  ragazzotto statunitense di nome Michael  Christopher Brown, Fotografo eclettico, ottima  preparazione accademica, di professione  Reporter.

Un curriculum come tanti altri  professionisti ma, a differenza di tanti altri suoi  colleghi, ha dimostrato un’innata apertura verso  stili e tecnologie alternative nel moderno  giornalismo. Michael Christopher Brown, oggi,  utilizza prevalentemente uno smartphone per i  suoi servizi di reportage, e nello specifico fa uso  di Hipstamatic come software di cattura delle  immagini.

Alla Magnum questa cosa è piaciuta,  le sue fotografie sono straordinarie, narrano  storie nude e crude, hanno uno stile personale  frutto di esperienza e – forse molto importante –  sono comunque il frutto del tempo in cui vivono,  quindi, anche per questa ragione, di facile  lettura anche per i non addetti ai lavori.
Ma nonostante questo c’è ancora chi nel gota  della Fotografia considera (giustamente, a sua  opinione) la Fotografia realizzata per mezzo di  smartphone “... un progetto di social marketing  altamente tossico per l’educazione all’immagine  fotografica.” (cit.)

Ecco, forse, questa ultima considerazione  potrebbe introdurre un argomento che mi è  sempre piaciuto considerare “l’argomento” nella  Fotografia: il suo contenuto.
Cosa la Fotografia esprime, cosa e se la  Fotografia racconta, rappresenta, informa,  emoziona, documenta, denuncia, illustra, e via  discorrendo.  In questi ultimi tempi dove la poesia della  pellicola è stata completamente sovrastata dalla  naturale dimensione del digitale, quando la  Fotografia è ufficialmente considerata un  fenomeno di massa, ciò che più emerge anche  nelle immagini professionali e amatoriali è  troppo spesso la pochezza o la mancanza di  contenuti.

La mia personalissima opinione, da essere  pensante e da Fotografo, è che nel momento  stesso in cui una Fotografia viene considerata  nel fine dell’apparecchio che l’ha realizzata e  non sul suo (eventuale) contenuto allora avrà  luogo il fallimento della Fotografia stessa, nella  sua definizione di “scrittura con la luce” e  potremo iniziare a parlare esclusivamente di  “realizzazione di immagini”.  Tutti noi, che non siamo i figli di Cartier Bresson  ma del tempo in cui cresciamo, forse dovremmo  iniziare ad augurarci “Buone Idee” e non “Buona  Luce” perché la Luce… bè, quella è scontata.

GABRIELE ORLINI (gabriele@orlini.biz)

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